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Il futuro del food nel dopo Expo è l’innovazione. La parola a Marco Gualtieri

Oggi per un piccolo produttore la tecnologia è il migliore alleato…

Che il trend dei prossimi dieci anni sia proprio il binomio food e tech è ormai un dato di fatto, ma l’interrogativo che non ci siamo ancora posti è cosa possiamo fare noi come cittadini, imprenditori o semplici amanti dell’Italia di fronte alla sfida più importante degli ultimi dieci anni: il dopo Expo. Chiediamolo a Marco Gualtieri, ideatore di Seeds&Chips, il primo evento mondiale dedicato al rapporto food e tech, impegnato quotidianamente nella battaglia per il dopo Expo. Nei suoi 25 punti ha elencato tutti i motivi per cui lo spazio espositivo Expo dovrebbe trasformarsi in una Food Valley.

Perché il futuro del food è l’innovazione e cosa vuol dire per un Paese come l’Italia?

Intanto noi parliamo di una filiera, che va dall’origine ovvero dall’agricoltura fino alle nostre tavole, e che in ogni sua fase può essere impattata dall’innovazione digitale. Pensiamo alla “precision agriculture” come un passaggio fondamentale dell’innovazione ed ormai non più posticipabile sia per un piccolo produttore che per una grande azienda agricola. Sensori, droni, software che forniscono informazioni mirate e dettagliate, ci offrono la possibilità di intervenire su piccole zolle. Quindi non c’è più bisogno di prendere pesticidi o innaffiare a caso, oggi esistono sistemi di previsione su un’ampia area geografica. Pensiamo a cosa è successo in Toscana e in Puglia con la xylella, allora, è ovvio che i batteri isolati si diffondono più facilmente, ma allo stesso tempo oggi ci sono le modalità per intervenire. Oggi l’agricoltura di precisione permette di intervenire prima che il batterio si sia diffuso.

Quando parliamo di agricoltura parliamo anche di allevamento di bestiame. Ad esempio con dei semplici sensori nello stomaco degli animali possiamo capire se la mucca è sana o meno. La tecnologia permette di intervenire in maniera più mirata e solo quando ce n’è bisogno, cosa impossibile fino a qualche anno fa.

Quindi è necessario che insieme alla tecnologia ci sia un cambiamento radicale di mentalità?

Totale. Le risorse principali di questo Paese sono turismo, cultura e agroalimentare, e sono tutte collegate tra di loro, ma noi abbiamo un problema strutturale che è legato alla distribuzione. Non abbiamo una catena di supermercati che porti i nostri prodotti all’estero come ad esempio Auchan, Carrefour etc. Come risolviamo questo problema? O andiamo ad aprire le catene o si cavalca il digitale. Anche qui viviamo una situazione in evoluzione, perchè fra cinque anni ci saranno 800 milioni di consumatori digitali in più al mondo. Come sottolinea Jeremy Rifkin, “chi da domani non pianta tutto il suo processo nell’ottica digitale è morto”, ma allo stesso tempo invece chi vuole cavalcare l’onda evolutiva ha delle potenzialità enormi.

Sto spingendo il Governo Italiano, che ha come obiettivo portare l’export agroalimentare italiano a più 50 miliardi entro il 2020, in questa direzione. Mi sono trovato a luglio ad un evento per promuovere la cucina italiana con 50-60 chef, e sono rimasto sconcertato dal fatto che non venisse mai citata la parola digital. Sono intervenuto e ho ricordato a tutti che se vogliamo raggiungere i 50 miliardi di euro di fatturato dobbiamo stimolare, accompagnare e valorizzare tutte le soluzioni digitali sia di startup che di grandi colossi come Amazon, Alibaba etc.

A proposito vi racconto un anedotto che riguarda Jack Ma, il fondatore di Alibaba: “un giorno arriva da lui l’ambasciatore americano, che voleva promuovere un prodotto americano agricolo in Cina, le ciliegie californiane, ma che i cinesi non conoscevano minimamente.” Grazie all’intervento di Jack Ma, in un mese sono state vendute 300 tonnellate di ciliegie. Ancora, se parliamo di innovazione nel food posso citarvi l’IBM Watson, un sistema di cognitive food, che impara dalle informazioni che gli vengono date ed ogni volta le migliora, il motivo per cui non l’abbiamo portato a Seeds è che non parla italiano e non conosce le ricette italiane. La nostra sfida è fargli conoscere tutte le ricette italiane, e poi con un click permettere di acquistarle. Si potranno comprare le ricette di Cracco, Bottura, tutti gli chef italiani più importanti…

Quindi possiamo dire che tecnologia è opportunità e soprattutto visibilità?

Certo. Come fa un’economia come Slowfood a sopravvivere oggi con questa forte competitività? Perché riesce a farsi conoscere, a raggiungere i propri clienti, paradossalmente oggi per un piccolo produttore la tecnologia è il migliore alleato. Ricordo sempre l’esempio citatomi da Carlo Petrini, dei due fratelli marocchini che vivono nel Sahara, una zona disagiata dal punto di vista climatico e che grazie alla tecnologia hanno messo in piedi la loro produzione di datteri. Infatti con le previsioni riescono sempre a sapere quali saranno le condizioni climatiche e quindi a migliorare il loro lavoro.

Per quanto riguarda la visibilità oggi chiunque può parlare al suo consumatore in maniera diversa e un consumatore ha la grande opportunità di approfondire le informazioni che riceve.

Prima del cibo la tecnologia ha sconvolto anche la musica. Potrebbe essere un vantaggio il fatto che il mercato food non goda dello stesso livello di strutture industriali e di distribuzione?

Si anche secondo me questo gap può essere un vantaggio, ma solo se ne prendiamo coscienza e puntiamo su qualcosa su cui siamo assolutamente rispettati e credibili nel mondo, come appunto il cibo. La musica è un ottimo paragone. Qualche anno fa “una mela” ci parlava della rivoluzione digitale nella musica non l’abbiamo ascoltata e abbiamo visto com’è andata, non facciamo lo stesso errore con le nostre mele e pere, ad esempio pensiamo che l’mpeg è stato inventato da un ingegnere torinese, ma nessuno lo sa. Probabilmente se ci fosse stato un sistema comunicativo come la Rete, sarebbe andata diversamente. Siamo in molti a parlare di Rinascimento digitale in Italia, bene io ci credo molto, e il dopo Expo può essere un’ottima occasione.

Ho scritto le previsioni per Expo e ho detto che avremmo raggiunto 20 milioni di visitatori, ed è successo. Ma Expo non dura solo sei mesi. E’ necessario investire in progetti che prolunghino il suo effetto. Noi abbiamo due proposte in tal senso: una settimana dedicata al food esattamente come quella del design e destinare il sito espositivo dell’Expo ad una vera e propria Food Valley. Dobbiamo fare in modo che quello diventi un centro dedicato ad innovazione e sperimentazione.

Che ruolo possono avere le startup in questo processo di innovazione?

Enorme. Le grandi aziende non hanno la velocità di accompagnare il processo innovativo. Le startup devono essere ascoltate, accompagnate ed è necessario investire sui loro progetti. Qualcosa però sta cambiando, per la prima volta un Presidente del Consiglio ha affermato che questo è il paese delle startup. Ed è stato sufficiente l’annuncio rispetto al sito espositivo e al suo futuro nel dopo Expo che subito si è scatenato l’interesse di tutti gli investitori del mondo.

Manca una digital information su food e ingredienti. Potrebbe essere il momento giusto per investire su una wiki food collaborativa?

L’Expo ha fatto si che persone da ogni parte del mondo si siano trovate a discutere e confrontarsi sul cibo. Secondo me ha seminato qualcosa di importante, anche grazie a partecipanti come Danielle Nierenberg fondatrice di Food Tank, un movimento che sostiene piccoli agricoltori e valori come sostenibilità. Diciamo che Expo sta mettendo le basi, per qualcosa che dovrà ancora accadere. Il nostro motto è “Better food for more people”. 

Il ministro dell’agricoltura americana all’Expo ha detto che il cibo è la nuova frontiera della tecnologia. E detto da un americano è abbastanza emblematico. Sam Kass, cuoco di Obama, ha convinto sia lui che Michelle ad un cambiamento radicale dell’alimentazione, compreso la realizzazione di un orto in casa. Il cuoco più famoso d’America ha condiviso dei dati molto significativi, ovvero solo il 13% degli americani mangia frutta e il 9% verdura. Dati impressionanti che spingono a puntare sull’informazione, ed in merito a conoscenza e qualità del cibo noi abbiamo qualcosa da insegnare al mondo intero.

Un modo nuovo di condividere una conoscenza, uscendo dalla logica enciclopedica ed entrando nel terzo millennio…

Adesso parliamo di democratizzazione del cibo grazie alla tecnologia e alla Rete. Noi parliamo di Internet of food, perché è l’impatto della Rete che può portare grandi cambiamenti. Come dice Bill Gates, anche solo con un telefonino si può salvare la vita di persone in Africa, dando informazioni su cosa e come coltivare e anche e soprattutto in merito agli ingredienti.

Expo è una grande opportunità anche per Milano, per cambiare la visione di questa città?

Io sono di Milano e sono un difensore di questa città, ma preferisco dire che amo l’Italia. In realtà Milano ha delle peculiarità sconosciute, che dovremmo conoscere. E’ la città con il più alto numero di consolati, più di New York e con il più alto numero di etnie diverse. La cucina milanese è l’unica cucina che ha tre piatti riconosciuti nel mondo e questo me l’ha insegnato Gualtiero Marchesi: il risotto, la cotoletta e l’ossobuco. Inoltre la Lombardia è la più grande regione agricola d’Italia, una di quelle con le più alte produttività al mondo, ma sono convinto che si debba trovare un punto di riferimento che rappresenti l’Italia non le singole città.

Qualche anticipazione su Seeds and Chips del 2016, e come l’Expo ha cambiato quest’evento?

La scelta di farlo prima di Expo nel 2015 è stata razionale. Parlavamo di qualcosa ancora non facilmente comprensibile, invece oggi in Expo ci sono state decine di eventi che hanno dimostrato come l’innovazione sia fondamentale nel settore agroalimentare. Non sono scontate traduzioni simultanee né la presenza di giovani sotto i 30 anni, eppure noi l’abbiamo fatto nella prima edizione. Nella prossima edizione ci saranno comunque 4 giorni dedicati al food, divideremo l’area espositiva per pezzi di filiera, area di innovazione, area dedicata al mercato del futuro e gli award per le startup.

Vorrei rimanere ancora nello studio di Marco Gualtieri, fargli tante domande, ma soprattutto continuare ad ascoltare le sue parole, ricche di passione e speranza per il futuro del nostro Paese. Nella mia mente l’immagine della Food Valley, investitori, produttori, e imprenditori che decidono di incontrarsi proprio in Italia, per mettere le basi di un nuovo modo di fare impresa, e di colpo tutto ha un senso. Non solo i sei mesi ma il dopo Expo è la nostra grande occasione…

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