TrendsFacebook salva l’informazione: anche questa una fake news?

Federica Galeazzi7 anni ago11 min

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Che Facebook dovesse fare qualcosa per uscire dalla scomoda ‘impasse’ in cui è precipitato dopo le presidenziali americane era nell’aria. Almeno da prima della candidatura di Trump, quando le fake news hanno cominciato a spandersi a macchia d’olio. Prima sul voto degli italiani al referendum costituzionale. Poi sui risultati a sorpresa della Brexit. Infine sulla sconfitta di Hilary Clinton.

Sia chiaro. Nulla di provato, ma comunque materiale sufficiente per gettare polvere negli occhi di tutti.  Anche in quelli di Mark Zuckerberg che non solo ha respinto pubblicamente ogni accusa di cospirazione, ma ha lavorato notte e giorno a un progetto di validazione delle informazioni: il Facebook Journalism Project.

Facebook Journalism Project: un programma in tre step 

Come ha spiegato in un lungo post Fidji Simo, direttrice di produzione del network, il Facebook Journalism Project è un “hub per giornalisti e publisher dove imparare e condividere”. Il progetto si articola in tre fasi: collaborare attivamente alla produzione di informazione; fornire ai giornalisti training e strumenti di formazione; educare gli utenti alla promozione della news literacy. L’obiettivo è univoco: creare “un ecosistema sano per il giornalismo e l’informazione”, investendo in progetti che promuovano “l’alfabetizzazione alle notizie”.

La battaglia alle fake news continua

Facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire cosa sono le fake news, vere responsabili del Facebook Journalism Project. Le fake news sono letteralmente le notizie false. Bufale se vogliamo usare un volgarismo.

Ma in realtà la questione è un pò più complessa.
Possiamo chiamare bufalala notizia confezionata ad hoc e pubblicata su siti fake per generare traffico? Assolutamente sì! Un esempio eclatante è quello dei due ragazzini macedoni di Veles che in piena campagna elettorale hanno aperto decide di pagine Facebook e siti piuttosto grossolani farciti di notizie (fake, of course!) a favore di Trump. Il motivo è semplice e lo spiega BuzzFeed: i giovani gestori avevano scoperto che “il miglior modo per generare traffico è far sì che le news di politica si diffondano su Facebook. E il modo migliore per ottenere condivisioni su Facebook è pubblicare notizie sensazionalistiche e spesso false per attirare i sostenitori di Trump».

Possiamo chiamare fake news i falsi giornalistici? Certo che sì! Le notizie non verificate, imprecise, manipolate (di cui si macchiano anche le testate giornalistiche più blasonate) sono fake news, a tutti gli effetti.

Parola controversa, quindi. Ma per fortuna ci viene incontro Margaret Sullivan, media editor del Washington Post che taglia corto e lancia su Twitter una provocazione: “The term ‘fake news’ has had its 15 minutes of fame. Real problem; tainted label. Let’s retire it”.  Vale a dire: il termine ‘fake news’ ha già abbondantemente avuto i suoi 15 minuti di gloria e sarebbe ora il caso di mandarlo bellamente in pensione.

Facebook: social network o media company?

Che se ne dica, le fake news sono un vero o proprio problema. Almeno per Mark Zuckerberg che proprio la scorsa settimana ha annunciato trionfale il suo Facebook Journalism Project. Per il momento tante parole e nulla di tangibile, CrowdTangle a parte, tool recentemente acquisito dalla società per analizzare sul social i dati delle interazioni. Si tratta di una piattaforma che scova gli argomenti più ‘hot’ sui social, misura il successo di un post e individua i social media influencer.

Al di là delle azioni (o reazioni?) di Zuckerberg alle accuse di favoreggiamento all’informazione falsata; al di là delle polemiche sulle fake news e sull’uso improprio di questo termine, alla fine la domanda è una soltanto: Facebook può essere considerato a tutti gli effetti una media company? Dopotutto la Newsfeed, il mega logaritmo che legge le nostre abitudini, di fatto decide cosa farci leggere e cosa no!

Ma non è tutto. Secondo il Facebook Journalism Project, un team selezionato (e non ben definito) di editori e giornalisti, il ‘Third-Party Verification’ passerà sotto la lente del ‘fact checking’ milioni di notizie che ogni giorno verranno condivise sulla piattaforma, decidendo cosa tenere e cosa cestinare. Non si tratta solo di una nuova sezione del network (e sarebbe un grave errore sottovalutarne la portata), ma di un vero e proprio sodalizio tra social media e informazione.

Senza perderci nella retorica del diritto sacro e fondamentale alla libertà di informazione chiediamoci, non senza timore, perché oggi al centro del dibattito sull’informazione non ci siano i direttori del Guardian o del New York Times, ma il l’ex studente di Harvard.

Federica Galeazzi

People Watcher, Marketer, Mum. La mia insaziabile curiosità nella vita chiede di essere accompagnata da altrettanto forte intensità nel lavoro. Per questo scrivo.

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