IntervisteSportboom: il learning by doing del “fare impresa”…

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[blockquote]Fare business in Italia è “un’idea difficile come businessman, ma giusta in quanto italiano”…[/blockquote]

Il nostro viaggio nel mondo delle startup vuole osservare la realtá mondiale e nazionale e la crescita di un fermento generazionale. Vogliamo esplorare la potenzialitá imprenditoriale fatta di giovani che si mettono in discussione, rischiando il tutto per tutto.

Raccontiamo l’esperienza di una startup dedicata allo sport. Sport is contagious” é il il loro pay off, e il target é quello di appassionati, che desiderano condividere un’esperienza con i propri amici. Un modello di business costruito sull’occasione dell’acquisto con risparmio, e sul suo forte carattere social. Le esperienze sono belle e interessanti se le condividi! Incontriamo Michele Norsa il Business Developer di Sportboom.

In partnership con Groupalia avete offerto servizi sportivi super scontati. Ma oggi Sportboom é andato oltre. Come nasce e soprattutto si evolve l’idea di un social commerce, e qual’é la sua peculiaritá?

L’idea nasce nel 2010. All’epoca io avevo appena finito di lanciare, in qualità di Business Developer, la start up on-line di una multinazionale dell’editoria nel quale ero assunto a tempo indeterminato. Leone era assunto, sempre a tempo indeterminato  in una società di ricerche di mercato mentre Alessandro stava facendo uno stage in una società di Marketing Sportivo dopo essersi laureato alla Bocconi di Milano. Un gruppo di amici che, vedendo un’ opportunità nel mercato, calcola il rischio e, non senza una certa dose di incoscienza, decide di buttarsi in una nuova avventura. L’idea iniziale era quella di supplire alla mancanza di un network centralizzato di attività sportive in Italia, e aggregare la domanda attraverso un e-commerce, su cui ognuno avrebbe potuto comprare attività da svolgere con gli amici, a prezzo contenuto. Il bello dell’imprenditorialità, però, è che spesso le idee migliori vengono in corso d’opera…

Quali sono state le prime difficoltá, e qual’é stato il vostro percorso per cercare un investitore?

Costruire il network, abbiamo censito oltre 20 mila centri sportivi in tutta Italia, e iniziare a collaborare con gran parte di questi, non è stato facile. Il mondo dello sport amatoriale è grande, ma anche molto frammentato e ognuno ha le sue esigenze. Le prime difficoltà ci hanno però insegnato l’importanza di “allineare gli incentivi”, solo una collaborazione win-win può realmente funzionare e mettere le basi di rapporti solidi e duraturi. I primi a credere in noi, sono stati parenti e amici che, fin dall’inizio,  ci hanno supportato in questa nuova avventura. In particolare, l’aiuto arriva dalla società Lecland S.r.l. che decide subito di investire nel progetto. Nasce così MiSi S.r.l. titolare del brand Sportboom.com.

Quali sono oggi i numeri di Sportboom, e come guadagna?

Sportboom oggi conta più di 2 milioni di visitatori l’anno, collabora con circa 6.000 strutture sportive e più di 700 attività stagionali su tutto il territorio italiano. All’inizio il focus del nostro business era soprattutto sul B2C, ovvero l’acquisto delle attività da parte degli utenti finali, mentre ora, il network è andato via via espandendosi anche e soprattutto sul B2B, attivando collaborazioni con brand quali Vodafone, Warner Bros, Euronics e molti altri.

Molti giovani oggi in Italia, in questo momento magari stanno pensando a come sviluppare la loro idea, dove cercare collaboratori e come accedere a reali incentivi e sostegni. Molti davanti alle difficoltá della burocrazia italiana decidono di partire, di cercare fortuna altrove. Voi cosa consigliereste?

Come uno dei miei soci, Leone, disse ad un convegno, fare business in Italia è “un’idea difficile come businessman, ma giusta in quanto italiano”. Quindi quello che mi sentirei di suggerire, è di trovare un’idea, soppesare i pro ed i contro e, se si intravede uno spiraglio, buttarsi. Le difficoltà si incontreranno comunque nel corso della propria carriera, tanto vale affrontarle a testa alta.

In un nostro articolo abbiamo parlato di coworker, ovvero la cultura imprenditoriale, che si basa sul successo ma anche sulle possibilitá di fallimento. Voi avevate considerato l’eventualitá di non farcela?

La possibilità di non farcela è un elemento costante nella vita di un imprenditore, specialmente se si cimenta con idee innovative e con l’ambizione di rivoluzionare il mercato; la capacità di fare i conti con i propri errori e i propri fallimenti è un processo fondamentale del learning by doing del fare impresa. Allo stesso tempo quello del fallimento non deve essere un pensiero ossessivo e costante. La fiducia nel futuro e nella propria capacità di superare le avversità anche sapendosi reinventare, ricercando strade ed opportunità nuove rispetto a quelle ipotizzate deve rimanere una convinzione di fondo, perchè è questa convinzione che fa la differenza nei momenti di difficoltà.

Se aveste la possibilitá di condividere un messaggio con tutti gli startupper in Italia, oggi che cosa gli direste?

Non abbiate paura di tentare. Il percorso di un imprenditore non si esaurisce mai. Come dicono gli americani, it’s a lifelong learning.

Michela Di Nuzzo

« Se scrivo ciò che sento è perché così facendo abbasso la febbre di sentire». - Fernando Pessoa Giornalista e co-founder, vivo il digital come imprenditrice e appassionata. Percepisco il cambiamento come un'opportunitá mai una minaccia. Occhi spalancati e orecchie aperte, sempre pronta alla condivisione, la chiave di ogni evoluzione.

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